Targhe auto storiche: sbloccato il decreto

Buone notizie per tutti coloro che possiedono un veicolo storico. All’interno della Legge di Bilancio del 2021 era stata inserita una modifica al Codice della Strada che permetteva il “recupero” delle targhe originali per tali veicoli, sia in caso di reimmatricolazione, sia per quelli già reimmatricolati o ritargati negli anni passati. Purtroppo, il decreto attuativo che doveva stabilire costi, criteri e modalità di rilascio, tardava ad arrivare.

Adesso, c’è un’importante novità: il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha finalmente emanato il decreto attuativo per la legge 178 del 30 dicembre 2020.

COSA PREVEDE IL NUOVO DECRETO

Dunque, la nuova legge prevede la facoltà di ottenere le targhe di circolazione della prima iscrizione al Pubblico Registro Automobilistico, ovvero di ottenere una targa del periodo storico di costruzione o di circolazione per i veicoli di interesse storico e collezionistico“.

Cosa dovranno fare i proprietari di un’auto storica per ottenere una targa del periodo storico di costruzione o di circolazione del veicolo, conforme a quella originale? Il decreto attuativo risponde a questo quesito, indicando la procedura da seguire e i costi da sostenere.

La procedura prevede che i proprietari debbano presentare una specifica richiesta presso uno STA (Sportello Telematico dell’Automobilista) o un Ufficio della Motorizzazione Civile.

Le istanze possono essere avanzate per i veicoli radiati d’ufficio o per esportazione, per quelli reimmatricolati e per quelli di origine sconosciuta, in ogni caso dotati di Certificato di Rilevanza Storica. Il rilascio della targa storica è soggetto al pagamento di 549,00 euro per gli autoveicoli e 274,50 euro per i motocicli e le macchine agricole.

si è quindi finalmente concluso un iter normativo che durava oramai da circa 3 anni.

Auto, in Italia prezzi sempre più elevati e produzione in discesa costante

Lo scorso anno il mercato italiano ha pagato all’industria automobilistica 38 miliardi di euro, al netto di sconti e incentivi, che sono stati versati dal contribuente, per ricevere in cambio 1,3 milioni di auto.

La stessa cifra del 2008, quando però riuscì a immatricolare quasi 2,2 milioni di auto, ai tempi ancora un prodotto di massa. È quanto emerge dall’analisi Mercato in Valore, prodotta dal Centro Studi Fleet&Mobility per Mapfre.

Approfondendo l’analisi sul prezzo medio si passa dai 18mila euro del 2013 ai 21mila del 2019, incremento annuo del 2,5%, per poi schizzare nei 3 anni successivi a oltre 28mila, pari a un incremento annuo del 10%.

Se gli aumenti pre-Covid erano spiegabili soprattutto con l’affermazione dei suv, quelli recenti hanno più di una motivazione. La principale è senza dubbio lo shortage di produzione, che ha messo i costruttori nella gradevole situazione di poter alzare i listini e tagliare gli sconti, mentre chiedevano e ottenevano comunque 1,3 miliardi di incentivi tra 2021 e 2022 per calmierare i prezzi.

Inoltre, potendo scegliere quali macchine produrre, si sono concentrati su quelle di valore medio-alto dove i margini sono migliori. Infine, non fornire le auto al rent-a-car, i cui sconti sono molto alti, pure ha aiutato. In buona sostanza l’industria sta vendendo meno ma guadagna di più. D’altronde gli investimenti sull’elettrificazione sono ingentissimi e dal ritorno piuttosto dubbio. Questa situazione, tuttavia, porta a creare un vuoto di offerta per chi desidera un prodotto più economico, com’era abituato fino a pochi anni fa, e che oggi ha due alternative.

La prima alternativa è quella di andare nel mercato dell’usato: nel 2010 il 77% delle macchine acquistate usate avevano meno di dieci anni, nel 2022 siamo scesi al 45%.

La seconda alternativa, è di rivolgersi ai costruttori cinesi per le auto nuove. Se le auto economiche le importiamo naturalmente a fabbricarle non saremo noi ma gli asiatici. Un’analisi di Bain, evidenzia come dal 2015 al 2022 la produzione auto cinese sia salita dal 27 al 33% del totale mondiale, mentre quella europea scendeva dal 24 al 19%, perdendo 5,3 milioni di pezzi e relativi addetti.

Sul fronte occupazionale quindi non ci siamo proprio. Se l’industria persegue i profitti, e la Cina punta a esportare e conquistare i mercati, non sono per nulla chiare le strategie del legislatore per contrastare l’impatto devastante sul lavoro causato dalla forte spinta all’elettrificazione voluta dallo stesso legislatore.

Colonnine nelle superstrade, flop del primo bando

I bandi per la realizzazione delle colonnine nelle città e lungo le superstrade sono stati un insuccesso, lo stesso ministero dell’Ambiente ha confermato il flop completo per la parte relativa ai punti di ricarica nelle arterie extraurbane, proprio dove le colonnine sono fondamentali per agevolare l’affermazione della mobilità elettrica e alleviare uno dei principali freni alla sua adozione.

A inizio maggio il dicastero retto da Gilberto Pichetto Fratin ha pubblicato gli avvisi per la presentazione dei progetti da finanziare, per l’appunto, con le risorse del Pnrr. Il piano prevede l’installazione, entro il 30 giugno del 2026, di più di 21 mila stazioni e a tal fine stanzia oltre 741 milioni di euro. I primi bandi includono finanziamenti per 150 milioni per realizzare 2.500 stalli lungo le superstrade e 127 milioni per 4 mila prese nei centri urbani. Gli operatori hanno presentato entro la scadenza dello scorso 30 giugno diversi progetti e il ministero ha publicato ieri, 3 luglio, l’esito della selezione.

Bene le strade urbane

Per la parte “urbana” sono state presentate 4.718 domande per un importo di 70 milioni di euro. Secondo il Ministero, si tratta di un risultato “particolarmente positivo, in quanto l’obiettivo di questo primo bando era fissato a quattromila colonnine”.

Fiasco Superstrade, poche proposte e mancanza di requisiti

Il vero flop è legato alle superstrade, perché lo stesso dicastero parla non solo di “poche proposte”, ma anche dell’assenza dei necessari requisiti. “In merito all’Avviso pubblico per le ricariche sulle superstrade, non è stato possibile selezionare progetti, in quanto le poche proposte progettuali presentate non avevano i requisiti di ammissibilità alla misura”, si legge nel comunicato ministeriale. “Il ministero si è già attivato con gli operatori interessati per individuare le motivazioni che hanno portato alla scarsa adesione, al fine di adottare le misure più opportune per stimolare una più ampia partecipazione”. Evidentemente, gli allarmi lanciati negli scorsi mesi da alcune associazioni di settore non sono stati ascoltati.

Da gennaio, infatti, Motus-E avverte del rischio di perdere i fondi europei a causa di alcune criticità tecniche: tempistiche incompatibili con i processi autorizzativi, poca chiarezza delle definizioni dei decreti o eccessiva ampiezza degli ambiti di gara. Tutti ostacoli da superare al più presto, visto che il Mase ha assicurato l’avvio di “ulteriori procedure di selezione con l’obiettivo di raggiungere il target finale di installare oltre ventunomila infrastrutture di ricarica entro il mese di giugno 2026”.

ACI “Autoritratto”: 1 auto ogni 11 ha più di 30 anni e solo il 13,9% del circolante è ecologico

Rapporto ACI per il 2022: troppo vecchio e troppo inquinante il parco circolante del nostro Paese, 3 milioni e 700 mila auto – il 9,3% del totale – sono state immatricolate prima del 1993. Per la maggior parte si tratta di Euro 0 che contano, ormai, almeno 30 anni di età.

Campania (17,6%), Calabria (15,2%) e Sicilia (13,5%), le regioni più “anziane”. Valle D’Aosta (2,3%), Trentino Alto Adige (2,6%, entrambe in virtù dell’alta percentuale di autovetture immatricolate ad uso noleggio) e Veneto (5,8%), le più “giovani”.

Sono questi alcuni dei dati più interessanti che emergono da “Autoritratto 2022”,  la pubblicazione statistica dell’ACI, che fotografa il parco veicolare di Regioni, Province e Comuni al 31 dicembre 2022, scaricabile online qui sul sito ACI.

SOLO 1 AUTO SU 7 (13,9%) È ECOLOGICA
Ancora troppo poche le auto ecologiche, gpl: 2.900.799, il 7,2% del parco auto;

metano: 971.583 (2,4%), ibride: 1.556.620 (3,9%), elettriche: 158.131 (0,4%), che, complessivamente, rappresentano il 13,9% circa del totale, contro il 12,4% del 2021.

In valori percentuali, rispetto al totale del circolante, Marche ed Emilia Romagna risultano le regioni più “verdi” (rispettivamente, 23,7% e 23%), seguite dalla Valle D’Aosta (20,7%) e dall’Umbria (17,9%). Le regioni meno “ecologiche” sono, invece, Sardegna (4,7%) e Calabria (5,6%). In valori assoluti è la Lombardia la regione con il più alto numero di auto ecologiche (800mila). Seguono Emilia Romagna (680mila) e Lazio (590mila). In coda Molise (24mila) e Basilicata (34mila).

ELETTRICHE: +49% NELL’ULTIMO ANNO, RAPPRESENTANO IL 4,3% DEL PARCO CIRCOLANTE
Decisamente rilevante, almeno in termini percentuali, (in valori assoluti, solo il 4,3% del parco), l’aumento delle auto ad alimentazione elettrica (elettriche, ibrido benzina e ibrido gasolio): in media, a livello nazionale, l’incremento tra 2021 e 2022 è stato del 49%, con picchi del 158% in Valle D’Aosta e del 72% in Trentino (dove risultano iscritte molte auto uso noleggio: in queste regioni, infatti, vi sono sedi legali di importanti Società del settore) e del 64% in Toscana.

Auto, è boom di furti di pezzi

I ladri di pezzi d’auto non vanno mai in vacanza, anzi: i furti aumentano in maniera esponenziale. il sospetto è che i ladri non rubino più esclusivamente per rivendere al mercato nero, ma che i furti avvengano sempre di più su commissione.

Le componenti a maggiore rischio

La refurtiva non finisce solo nel mercato nero italiano, ma anche in quello estero e sui siti di oggetti usati. A essere maggiormente presi di mira sono fanali, portiere, gomme, cerchi, catalizzatori, marmitte, volanti, airbag, cruscotti, paraurti e specchietti.

Menzione d’onore per le batterie al litio, il cuore delle auto elettriche, alcune delle quali arrivano a costare anche 10mila euro. Tra i modelli più vandalizzati le Fiat (Panda, 500, 500L e 500XL), quasi tutti i modelli Audi e le Smart. Le Fiat sono al vertice anche nella classifica della auto più rubate in Italia.

L’aumento dei prezzi nei listini ufficiali e i lunghi tempi di attesa per i pezzi di ricambio alimentano il fenomeno dei furti di componentistica. E il rischio è che l’automobilista derubato si ritrovi nella paradossale situazione di rivolgersi al mercato nero per riparare i danni subiti, lo stesso mercato nero che è all’origine del furto.

Cavallo di ritorno con smontaggio dei pezzi

C’è poi una forma ibrida di furto, a metà strada tra il furto d’auto e la sottrazione di componentistica: è il cavallo di ritorno con smontaggio dei pezzi. Il cavallo di ritorno classico prevede che il mezzo rubato venga restituito dietro il pagamento di un riscatto. Oggi sempre più spesso accade che chi accetti di sottostare a questo ricatto si ritrovi con un’auto priva di qualche pezzo. Il consiglio per chi sia vittima del racket del cavallo di ritorno è quello di allertare le forze dell’ordine e organizzare un incontro con i malviventi sotto la vigilanza a distanza di polizia o carabinieri, col fine ultimo di procedere all’arresto.

In termini assoluti le città più colpite sono Milano e Roma, ma in percentuale alla popolazione sono tanti i centri, anche di dimensioni relativamente piccole, flagellati dal fenomeno. Non vengono attaccate solo le auto dei cittadini, ma anche quelle appartenenti alle società di noleggio. I tempi cambiano e il mercato si adegua: alcune assicurazioni e alcune società di nolo hanno cominciato a inserire apposite franchigie nei loro contratti.

Avere l’esatto quadro del fenomeno non è facile dal momento che gli automobilisti che non abbiano stipulato una polizza assicurativa contro il furto non sempre denunciano.

L’unico modo per tentare di ridurre il rischio di furto è evitare di parcheggiare l’auto in strada nelle ore notturne, soprattutto in zone isolate e poco illuminate. Ma i ladri più esperti e spregiudicati possono agire anche se l’auto si trova in una zona piuttosto frequentata: non effettuano lo smontaggio sul posto, ma rubano l’intero veicolo e lo guidano verso una zona più tranquilla dove possono agire indisturbati. Meglio prevenire ricorrendo a una copertura assicurativa totale: questo non ferma le mani dei ladri, ma in caso di furto si piange con un occhio solo.

Sul fronte delle regioni più a rischio per i furti d’auto troviamo Campania, Lazio, Puglia, Sicilia e Lombardia. Un’auto rubata su due è un Suv.

La spesa per l’auto vola oltre i 200 miliardi di euro

L’anno scorso, gli italiani hanno speso per l’acquisto e l’esercizio degli autoveicoli (autovetture, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus) quasi 207,4 miliardi di euro, il 14,9% in più rispetto ai 180,5 miliardi del 2021.

Secondo uno studio dell’Osservatorio Autopromotec, il peso del settore automotive sull’economia nazionale è cresciuto dal 10,2% al 10,9%.

Le voci di spesa:

La ricerca fornisce anche uno spaccato delle varie voci di spesa.

La prima voce di spesa è rappresentata dai carburanti, con il 36% del totale e un esborso complessivo di 74,6 miliardi di euro, il 25,8% in più per colpa non solo delle ormai note conseguenze del conflitto in Ucraina e della crisi energetica, ma anche dei maggiori consumi rispetto a un 2021 ancora penalizzato dai limiti agli spostamenti legati alle misure anti-pandemia.

La seconda maggior voce di spesa è stata quella per l’acquisto di nuovi veicoli, pari a 45,9 miliardi. In questo caso, l’incremento è stato di appena il 4% perché l’aumento dei prezzi del 5,5% è stato compensato dal calo delle immatricolazioni (-10,7% per le sole autovetture).

Per le manutenzioni e le riparazioni, invece, sono stati spesi 43,4 miliardi (+24,2%), per le assicurazioni 16,7 miliardi (-0,7%) e per i parcheggi e i ricoveri 10 miliardi (+1%).

I pedaggi autostradali, pari a 7,1 miliardi, hanno subito un incremento del 16% per la ripresa della mobilità sulle lunghe percorrenze.

Infine, secondo le stime dell’Osservatorio Autopromotec, sono stati spesi 6,7 miliardi per le tasse automobilistiche (+1,5%) e 2,7 miliardi per l’acquisto di pneumatici (+12,1%).

Auto: antivirus obbligatorio per tutti in Europa dal 2024

Le auto sono sempre più tecnologiche. La tecnologia che un tempo aveva un ruolo marginale all’interno di una vettura ogni anno che passa ottiene sempre più importanza. Questo se da un lato è positivo in quanto rende più facile e più piacevole la vita degli automobilisti, dall’altro può creare alcuni problemi soprattutto per quanto concerne la sicurezza. Con aggiornamenti over-the-air sempre più frequenti diventa altamente probabile che le nostre vetture possano essere vittima di attacchi informatici.

Da luglio 2024 antivirus obbligatorio nelle auto di nuova produzione in Europa

Per questo motivo la Commissione Europea ha approvato due nuovi regolamenti ( reg. n° 155 e n° 156) con l’obiettivo di obbligare tutte le auto di nuova produzione a partire da luglio 2024 a disporre di un antivirus standard proprio con l’obiettivo di evitare questi possibili attacchi hacker.

I due nuovi regolamenti prevedono dunque una serie di modifiche alla situazione attuale. Se tutte le case automobilistiche sono d’accordo sul fatto di migliorare la sicurezza informatica delle proprie auto ovviamente sulle modalità non sono ancora tutti concordi.  Ricordiamo che gli stati membri dell’Unione sono tenuti al rispetto dei regolamenti in maniera rigorosa e dunque non possono modificarli.

Le nuove regole richiedono che vengano riscritte varie parti del codice di controllo interno del sistema. Proprio qui sta il problema. Questi cambiamenti richiedono ingenti investimenti e inoltre la questione è abbastanza complessa dato che si dovranno uniformare diversi sistemi. Vedremo dunque da qui all’estate 2024 che novità arriveranno in proposito.

Auto,componentistica “a sorpresa” i ricavi in aumento del 16%

Ricavi medi in aumento del 16% nel primo trimestre. E profittabilità in risalita dell’1,1% con prudenti prospettive di miglioramento dei margini nel corso dell’anno.

Questa è la fotografia scattata da Moody’s dello stato di salute dei maggiori player europei della componentistica nel settore Automotive.

Mentre il 2023 è l’anno della frenata per i costruttori (non per tutti, i brand premium sono esclusi) sotto il profilo della redditività dopo due anni di vacche grasse, la ripresa dei volumi è dalla parte dei componentisti.

Aspettative superate

I risultati finanziari del primo trimestre 2023 della maggior parte dei fornitori europei di componenti per autoveicoli che valutiamo – si legge nella nota di Moody’s – hanno superato le aspettative. «Tuttavia, al momento non stimiamo al rialzo le previsioni di vendite e redditività per i fornitori europei di componenti per il 2023. La maggior parte delle aziende, del resto, ha mantenuto aspettative prudenti per l’intero anno. Tale prudenza riflette l’incertezza del sentiment dei consumatori in un contesto di rallentamento della crescita economica e inflazione persistente».

Il +16% medio delle vendite per i 12 fornitori presi in esame, quelli che hanno reso noti i risultati del primo trimestre, si deve a un recupero di circa il 6% nella produzione globale di veicoli leggeri, in particolare in Europa (+17%) e in Nord America (+10%). Ma anche ad aumenti dei prezzi per coprire i costi di produzione in continuo aumento. Altro fattore a favore, infine, i lanci di nuovi prodotti.

La crescita delle vendite, peraltro, è stata disomogenea, per recenti acquisizioni o disinvestimenti. Ma anche per effetto delle diverse condizioni regionali. In particolare in Cina, dove la produzione di auto è diminuita del 4% anno su anno nel primo trimestre.

La straordinaria performance di alcuni player, come Gestamp (+22,7% globale a valute costanti ed escludendo l’effetto positivo dei prezzi delle materie prime), è il frutto della fine dei vincoli sofferti nel primo trimestre 2022, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Il miglioramento del margine operativo

Spostando il focus sulla redditività, Moody’s registra «un miglioramento visibile nel margine Ebit dei nove fornitori di componenti che hanno riportato finora i risultati trimestrali. Il margine è salito al 6,6% nel primo trimestre rispetto al 5,5% dello stesso trimestre dell’anno scorso. I fattori che hanno contribuito al miglioramento includono un migliore assorbimento dei costi fissi grazie a volumi più elevati e gli aumenti dei prezzi per compensare (in parte retroattivamente) l’inflazione sui costi di componenti elettronici, manodopera, energia». Il progresso nel primo trimestre ha toccato il livello che l’agenzia di rating si aspettava per l’intero anno.

«La redditività dei fornitori di componenti auto – continua Heck – è molto legata ai volumi di vendita, mentre i loro prezzi sono tipicamente determinati, in gran parte, contrattualmente. Esiste una possibilità generale di trasferire i cambiamenti dei costi di produzione, ma di solito con un ritardo temporale. Ciò ha messo sotto pressione i margini l’anno scorso e ci aspettiamo un recupero quest’anno».

Se la produzione continuerà secondo le previsioni di crescita delle vendite globali di veicoli leggeri del 5,7% nel 2023 e se i fornitori riusciranno a difendere la loro posizione nelle rinegoziazioni dei prezzi con i clienti, facendo fronte all’inflazione, secondo Moody’s è probabile «un continuo recupero della redditività nel resto dell’anno». Quanto alle aziende sono le prime a non sbilanciarsi e a tenersi prudenti nelle stime per il 2023, da Faurecia a Hella a Schaeffler.

E quando arriveranno i cinesi?

Guardando più in là, le premesse per un’invasione cinese in Europa quali ripercussioni potrebbero avere sui componentisti?

«Diverse case automobilistiche cinesi – conclude l’analista di Moody’s – hanno avviato iniziative per vendere veicoli in Europa, ma i loro volumi di vendita sono ancora molto bassi in questa fase. La loro presenza, tuttavia, manterrà la concorrenza in Europa ad alti livelli. In questo quadro i fornitori di ricambi auto con tecnologie forti e produzione efficiente, che riforniscono anche le case automobilistiche cinesi, potranno resistere ai cambiamenti nel panorama competitivo in Europa. Al contrario, i fornitori che dipendono in gran parte dalle vendite alle case automobilistiche europee potrebbero risentirne se i loro volumi diminuissero a causa dell’aumento delle quote di mercato delle case automobilistiche cinesi».

fonte: sole24ore – Finanza & Mercati

Superbollo verso l’abolizione?

il governo pare intenzionato ad abolire la tassa dedicata alle auto con potenza maggiore di 251 CV, in vigore dal 2011 e fino a oggi oggetto di polemiche e discussioni.

L’esecutivo starebbe infatti valutando di eliminare una serie di micro-imposte che, a quanto pare, portano entrate ridotte per le casse dello Stato. La lista definitiva delle tasse da abolire è ancora da stilare da parte del ministero dell’Economia, tuttavia sembra che tra queste ci sia anche quella che risulta una delle più odiate da parte degli automobilisti.

POSSIBILE MAGGIOR GETTITO

L’attuale superbollo è stato introdotto dal governo Berlusconi e poi reso effettivo nel 2011 dal governo Monti, che ha abbassato il limite di potenza e aumentato la tariffa al kW, con il decreto Salva Italia. Il superbollo prevede infatti che, al bollo auto stabilito da ogni Regione, venga aggiunta una quota di ulteriori 20 euro per ogni kW oltre i 185 (con riduzione a 12 euro dopo 5 anni dall’immatricolazione, 6 euro dopo 10 anni, 3 euro dopo 15 anni e abolizione dopo i 20 anni). L’imposta aggiuntiva era stata prevista nell’ottica di raccogliere un maggior gettito fiscale da parte dei proprietari di vetture di lusso, ma l’introduzione del superbollo ha avuto solo effetti negativi per il minor gettito per lo Stato dovuto al crollo delle vendite delle vetture con potenze maggiori.

Fin dal momento della sua introduzione il bollo aggiuntivo è stato molto criticato e non sono mancati i tentavi, più o meno concreti, di abolirlo una volta per tutte. Fino a oggi però il superbollo è rimasto. Vedremo se la volontà del governo, supportata da una larga maggioranza in parlamento, sarà davvero quella di eliminare questa tassa molto discussa.

 

Italia e Francia contro l’euro 7

Italia, Francia e altre sei Nazioni dell’Unione Europea, hanno chiesto attraverso  un paper congiunto di eliminare dalle norme Euro 7 di prossima introduzione i nuovi limiti previsti per le emissioni di scarico: il gruppo di paesi, che comprende anche Repubblica Ceca, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, sostiene che gli obiettivi fissati sarebbero eccessivamente ambiziosi e irrealistici, e potrebbero dirottare investimenti cruciali per raggiungere l’obiettivo dell’UE di vietare la vendita di nuovi veicoli con motore a combustione dopo il 2035.

Dello stesso avviso anche Carlos Tavares, CEO di Stellantis, secondo cui gli ultimi passi per ridurre la CO2 dalle auto comporterebbero oneri inutili per l’industria e rallenterebbero il passaggio del settore all’elettrificazione.

Cosa prevede la normativa sull’Euro 7? L’obiettivo del nuovo regolamento è inasprire le norme sugli inquinanti diversi dalla CO2, come il monossido di carbonio CO e gli ossidi di azoto NOx.

Le regole mirano anche a contrastare il particolato proveniente da freni e pneumatici, prodotto dal consumo delle pastiglie e del battistrada rispettivamente. L’entrata in vigore è per ora prevista al 1° luglio 2025, ma se in origine l’intenzione era regolamentare gli standard per l’ultima generazione di motori a combustione, il via libera ai carburanti sintetici potrebbe allungare la vita di benzina e Diesel almeno fino al 2040.

i Paesi che si oppongono affermano che è troppo presto per attuare un ulteriore giro di vite sulle emissioni e sostengono che i tempi di consegna sono di almeno tre anni dal momento dell’adozione del pacchetto. Lo stesso presidente francese Emmanuel Macron avrebbe auspicato una pausa nella regolamentazione climatica dell’UE. 

La preoccupazione è che il passaggio all’elettrico possa comportare la perdita di migliaia di posti di lavoro nel settore e la presa di posizione è netta: ”Ci opponiamo a qualsiasi nuova norma sulle emissioni di scarico (compresi nuovi requisiti per i test o nuovi limiti) per auto e furgoni”, affermano i paesi firmatari del documento. Ma come è accaduto per gli e-fuel questa dichiarazione pare il punto di partenza per una trattativa in cui i colloqui tra il Parlamento Europeo e gli Stati membri devono ancora iniziare. Non si tratta dunque di un ”uno a zero e palla al centro”, ma piuttosto di una dichiarazione pre-partita, che anticipa il calcio d’inizio. Fare pronostici sul risultato è quantomai prematuro.

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